La Corte di Cassazione, nella sentenza 31.7.2025 n. 28178, ha stabilito che è corretta la condanna per concorso in bancarotta impropria da operazioni dolose (art. 223 co. 2 n. 2 seconda ipotesi del RD267/42) dell'amministratore che, prima di una lunga liquidazione (più di sei anni), lasci la società, poi fallita, con un debito erariale di circa 155.000 euro (debito, peraltro, cristallizzatosi in conseguenza dell'omessa "coltivazione" del ricorso da parte dei liquidatori). Ai fini della configurabilità del delitto in questione, deve sussistere non solo un rapporto di causalità materiale, ma anche un rapporto di causalità psichica. Secondo l'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, l'agente deve potersi rappresentare il dissesto (non voluto) come uno sviluppo logicamente prevedibile delle operazioni dolosamente compiute; in questo modo si richiede una partecipazione psichica dell'agente al fatto e, quindi, un coefficiente di colpevolezza in grado di tenere il reato indenne da dubbi di costituzionalità.