La Corte costituzionale, con sentenza n. 247 depositata il 25 luglio 2011, ha sancito la costituzionalità della norma, disposta dal Dl 223/2006, che raddoppia i termini di decadenza dell'azione di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e Iva in caso di violazioni che implicano l'obbligo di denuncia ex articolo 331 del Codice di procedura penale.
L'ordinanza di remissione era stata trasmessa dalla Ctp di Napoli, che sollevava l’incostituzionalità sulla base del mancato rispetto del principio della certezza dello spirare dei termini di decadenza dell’accertamento (certezza dei rapporti giuridici). Nell’ordinanza veniva portata all’attenzione l’ipotesi di una segnalazione di reato per una violazione relativa a un determinato periodo di imposta avvenuta in data successiva al termine di decadenza ordinario dell'accertamento per lo stesso periodo. In tale situazione, la conseguente riapertura dei termini contravverrebbe alla certezza del loro spirare e il contribuente non sarebbe più in possesso dei documenti fiscali di quell'esercizio.
Ma la Corte costituzionale ha risposto che a dettare regola è solo la sussistenza dell'obbligo che connota, sin dall'origine, la fattispecie di illecito tributario a cui è legata l'applicabilità dei termini raddoppiati di accertamento: “i termini brevi ... operano in presenza di violazioni tributarie per le quali non sorge l’obbligo di denuncia penale di reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000; i termini raddoppiati ... operano, invece, in presenza di violazioni tributarie per le quali v’è l’obbligo di denuncia".
Pertanto, la norma è costituzionale in quanto non tratta della “riapertura o proroga di termini scaduti” né della “reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti”, ma di termini fissati da legge sulla base dell’obbligo di denuncia penale per i reati tributari: all'amministrazione non è riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione.
Sulla questione del dolo nel ritardare la segnalazione del reato, per raddoppiare la disponibilità di tempo, da parte dell'Amministrazione finanziaria, la Consulta sostiene che il deterrente è nel Codice di procedura penale che obbliga alla segnalazione della notizia di reato alla Procura della Repubblica competente senza ritardo. Il contribuente, di fronte ad un possibile atto pretestuoso del Fisco si può rivolgere al giudice tributario che può accollare il reato ai verificatori
weekly news 30/2011