La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2419/2012 del 20 febbraio, si esprime sull’esenzione contributiva dei rimborsi chilometrici a favore del datore di lavoro, ponendo l’accento non tanto sull’aspetto fiscale vero e proprio quanto su quello dell’onere della prova, con particolare riferimento alle modalità probatorie richieste dalla legge, per rendere la stessa esenzione operativa.
I giudici di legittimità, nel dirimere una controversia che vedeva contrapposta un’azienda pratese all’Inps, hanno specificato che non emerge in alcun modo dalla normativa attuale la volontà del Legislatore di imporre ai suddetti rimborsi l’obbligo di derivare da una documentazione con “contenuti specifici e analitici”, e quindi più gravosa.
Finora l’Inps, in assenza di una documentazione che attestasse giorno per giorno i km percorsi ed i clienti visitati, inseriva automaticamente i rimborsi nel reddito imponibile con un notevole aggravio di costi per i datori di lavoro e i dipendenti.
Ora la situazione, con riferimento al caso di specie, cambia. Per la Corte “l’onore probatorio del datore di lavoro che invochi l’esclusione, dall’imponibile contributivo, delle erogazioni in favore dei lavoratori, è assolto documentando i rimborsi chilometrici con riferimento al mese di riferimento, ai chilometri percorsi nel mese, al tipo di automezzo usato dal dipendente, all’importo corrisposto a rimborso del costo km sulla base della tariffa Aci”.
Di conseguenza, il datore non è tenuto a dare prova analitica dei corrispettivi erogati mediante una scheda riepilogativa mensile o altro documento simile.
weekly news 08/2012