Con ordinanza n. 7963 del 2012, la Corte di Cassazione si esprime in merito ad un caso di demansionamento di un lavoratore, che è stato reintegrato dal datore di lavoro nel suo posto di lavoro, ma viene posto nella condizione di non poter riprendere a pieno lo svolgimento delle proprie mansioni.
Nei precedenti gradi di giudizio, viene riconosciuto al lavoratore il danno per dimensionamento, ma non quello di perdita di professionalità collegato alla violazione dell'identità professionale sul posto di lavoro. Di qui il ricorso in Cassazione del lavoratore.
I Giudici di legittimità affermano che un datore di lavoro che non ripristina le condizioni ottimali per permettere al lavoratore di riprendere le sue mansioni, una volta reintegrato in azienda, lasciandolo “oziare”, commette non solo un atto di demansionamento ma lede un diritto fondamentale dell’uomo che è quello al lavoro, riconosciuto dalla nostra carta Costituzionale. Inoltre, con tale condotta, il datore di lavoro non adempie ad un obbligo previsto nel contratto di lavoro, incorrendo anche in una responsabilità contrattuale. Ciò, in quanto, sul datore di lavoro grava l’obbligo di adire il dipendente al lavoro e se ciò non avviene il datore di lavoro commette un illecito.
Viceversa, il lavoratore non ha solo il dovere di porre in essere la prestazione lavorativa, così come previsto dal contratto di lavoro, ma anche il diritto alla sua esecuzione, dato che il lavoro è “anche un mezzo di estrinsecazione della personalità di ciascun cittadino”.
Dunque, per i Supremi giudici il danno compiuto dal datore di lavoro non è stato tanto quello di aver costretto il lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle di assunzione o a quelle successivamente acquisite, ma proprio quello di averlo messo in condizione di forzata inattività. Essendo il lavoro un diritto del lavoratore, ricade sul datore anche una responsabilità patrimoniale. I giudici di merito avrebbero dovuto, infatti, quantificare l’entità del risarcimento per il lavoratore.
weekly 27/2012