Secondo la Cassazione – sentenza n. 25572 del 15 novembre 2013 – la posizione dell'amministratore unico di società di capitali può essere parificata, sotto il profilo giuridico, a quella dell'imprenditore. Ed infatti, con riferimento alla sua attività di gestione, non è individuabile una volontà imprenditoriale distinta da quella della società né ricorre alcun assoggettamento all'altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, requisito tipico della subordinazione.
Così, in tema di imposte sui redditi e con riferimento alla detrazione di quello d'impresa, l'articolo 62 del Dpr n. 917/1986, con cui viene esclusa l'ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l'opera svolta dall'imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per quello dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di società di persone, non consente nemmeno “di dedurre dall'imponibile il compenso per il lavoro prestato e l'opera svolta dall'amministratore unico di società di capitali”.
In ogni caso – precisa la Suprema corte – è legittimo che l'amministrazione finanziaria proceda con la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, e ciò anche qualora non siano emerse irregolarità o vizi nella tenuta delle scritture contabili e negli atti giuridici d'impresa. Ne discende, per il Fisco, la non vincolatività della misura dei compensi degli amministratori indicata in deliberazioni sociali o contratti; ed infatti, è all'Ufficio finanziario che compete la verifica dell'attendibilità economica dei dati.