L'apposizione a sofferenza, ai fini della segnalazione alla Centrale rischi della Banca d’Italia, non richiede una previsione di perdita del credito, potendo ben sussistere anche qualora il patrimonio del debitore consenta ancora, allo stato e nel contesto della sua negatività, dei margini di rientro.
Ciò che rileva, ossia, è l'emergenza, chiara e documentabile, che, al momento della segnalazione, il rientro non appaia sicuro o, quantomeno, altamente probabile e che si configuri, pertanto, un serio pericolo di insolvenza.
Al fine della segnalazione, in definitiva, è sufficiente una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzata come deficitaria ovvero come grave e non transitoria difficoltà economica, senza alcun riferimento ai concetti di incapienza o di definitiva irrecuperabilità del credito.
Sulla base di queste considerazioni, la Corte di cassazione – sentenza n. 1725 del 29 gennaio 2015 – ha confermato la decisione con cui i giudici di merito avevano respinto il ricorso presentato da una Srl, poi fallita, che chiedeva di essere risarcita dalla propria banca per i danni subiti in seguito all'asserita illegittima segnalazione alla Centrare rischi della Banca d'Italia della sua posizione a sofferenza e all'omessa tempestiva segnalazione del suo integrale rientro dallo scoperto.
Segnalabili anche le posizioni che fanno temere un futuro dissesto
In particolare, la Suprema corte ha ritenuto esatta la considerazione operata dalle corti di merito, secondo cui la nozione di “stato di insolvenza e situazioni sostanzialmente equiparabili”, ricavabile dalle Istruzioni specificamente emanate dalla Banca d'Italia e trasfuse nella circolare n. 139/91, ricomprende anche posizioni che, anche se non possono qualificarsi di totale incapacità economica, denotano una sensibile difficoltà nella gestione e nel controllo dell'equilibrio economico-finanziario del soggetto e fanno temere la possibilità, anche se non immediata, di un futuro dissesto.
La previsione di una possibile rimozione della difficoltà riscontrata – hanno concluso i giudici di legittimità - non esclude che il rischio sia qualificabile come “sofferenza”, atteso che la relativa valutazione deve fare sempre riferimento alla capacità del cliente di adempiere le proprie obbligazioni con regolarità e senza anomalie.