A fini della validità dell'accertamento, è onere dell'ente impositore dare concreta dimostrazione che un conto corrente bancario di cui non sia provata l'intestazione al contribuente (nella specie, perché intestato agli stretti familiari), sia tuttavia riferibile a quest'ultimo.
E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sezione tributaria, con sentenza n. 18370 depositata il 18 settembre 2015, accogliendo il ricorso di un contribuente, che aveva impugnato un avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione alcuni importi a titolo di Irpef, Iva ed Irap.
Avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale, il ricorrente lamentava l'assoluta carenza di motivazione in ordine ad un elemento fondamentale ai fini della validità dell'accertamento de quo, ovvero, la co – intestazione del conto interessato con la propria moglie e suocera.
Nell'accogliere la censura, la Cassazione ricorda innanzitutto che l'intestazione di conti bancari ai più stretti familiari del contribuente (come nel caso in esame), è suscettibile, in linea di principio, di integrare una valida presunzione di riferibilità di detti conti al contribuente medesimo. La prova contraria di tale riferibilità compete al contribuente.
Tutto ciò apre uno specifico thema probandum al contraddittorio delle parti che, nella fattispecie, non è stato affrontato dalla Ctr.
Nella sentenza impugnata infatti – ha precisato la Suprema Corte – i giudici tributari forniscono delle presunzioni (basate su indagini bancarie) senza tuttavia offrire alcuna possibilità al contribuente, di siffatta prova contraria, con riferimento, in particolare, ai conti intestati alla suocera.