Il criterio dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti comporta che, nell’imposizione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi realmente perseguita dai contraenti, anche se mediante più pattuizioni non contestuali (Cassazione 25005/2015).
Con la sentenza in commento, la Cassazione – nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate – ha fornito chiarimenti sull’applicabilità degli orientamenti giurisprudenziali sull’abuso del diritto in materia di imposta di registro.
La Cassazione ha infatti chiarito che la Commissione tributaria regionale, nella parte in cui ha stabilito che il risparmio d’imposta non era da ritenersi indebito perché la complessa operazione realizzata dai contribuenti era sorretta da una valida ragione economica (la necessità di una maggiore facilitazione nel perseguire finanziamenti), ha tratto spunto dalla giurisprudenza formatasi, in via generale, in tema di abuso del diritto o di elusione fiscale, e quindi dalla tesi secondo la quale “il risparmio d’imposta non giustificato da valide ragioni economiche dà luogo ad un abuso il quale legittima l'Amministrazione al recupero dell'imposta elusa (da ultime, Cass. sez. trib. n. 439 del 2015; Cass. sez. trib. n. 4604 del 2014)”.
Tuttavia, la Cassazione ha poi rilevato che, in materia di imposta di registro, l’articolo 20 del DPR 131/1986 “è retto da presupposti applicativi diversi e del tutto slegati da quello della realizzazione o meno di un indebito vantaggio fiscale”, per cui “è… indifferente che il vantaggio fiscale, cui l’atto o il collegamento negoziale danno luogo, siano o meno sostenuti da un’apprezzabile causa economica”.