La violazione del termine di permanenza degli ispettori presso la sede del contribuente, previsto dallo Statuto del contribuente, non determina carenza del potere di accertamento né invalidità degli atti compiuti e inutilizzabilità delle prove raccolte, poiché nessuna di queste sanzioni è stata prevista dal legislatore (Cassazione, 966/2016). La Cassazione ha prima esaminato il motivo di ricorso relativo alle modalità di computo del termine, ritendendolo assorbente degli altri. Se, infatti, il giudice d’appello avesse omesso di esprimersi, limitandosi a richiamare la portata garantistica della Legge 212/2000, ciò avrebbe caducato la legittimità della sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Ma così non è stato, perché la Commissione regionale, confermando l’illegittimità dell’atto emesso a seguito della verifica protrattasi per 34 giorni di calendario, ha implicitamente rigettato il motivo di appello dell’ufficio.
Al riguardo, la Corte ha ribadito (cfr sentenze 21798 e 7867 del 2015 e 5351/2007) che, per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, era necessario che fosse stato completamente omesso il provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto, a prescindere dalla mancata decisione su un punto specifico.
Poi, i giudici di legittimità hanno ritenuto sproporzionata la sanzione dell’invalidità dell’atto impositivo e dell’inutilizzabilità delle prove acquisite nel corso della verifica che si è protratta oltre il termine di legge (cfr Cassazione, 16323 e 24690 del 2014). Ciò in quanto l’articolo 12 della Legge 212/2000 è volto a garantire equilibrio tra l’interesse del contribuente all’esercizio dell’attività economica, senza eccessive limitazioni, e quello del fisco di ricercare elementi indicativi dell’eventuale maggiore capacità contributiva non dichiarata. Tali conclusioni scaturiscono da un’interpretazione sistematica delle diverse disposizioni dell’articolo 12 citato.