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Cassazione. Legittima l’accertamento del reddito con metodo sintetico la donazione non documentata

Pubblicato il 29 gennaio 2016 Italia Oggi ; Il Sole 24 Ore

Il “redditometro” non impedisce al contribuente di dimostrare che è stata una donazione e non un reddito imponibile nascosto al Fisco a rendere possibile l’acquisto di una casa, ma la prova contraria ammessa non riguarda la sola esistenza della liberalità, bensì anche l’entità della somma e la durata del suo possesso (Cassazione, 916/2016).


I giudici di legittimità accolgono le doglianze dell’ufficio ricordando che l’articolo 38 del D.P.R. 600/1973 ha disciplinato il metodo di accertamento sintetico del reddito prevedendo, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la Legge 413/1991 e il D.L. 78/2010), “da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti, indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessaria per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall'altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle - di solito elevate - sostenute per l'acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente”.


Tuttavia, osserva la Corte, il contribuente, per sconfessare le ragioni del Fisco, può sempre dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, anche se l’articolo 38, comma 6, nel testo vigente ratione temporis, prevede espressamente che “l'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.


In sostanza, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (Cassazione, sentenze 25104/2014 e 23826/2015).


Laddove l’incremento patrimoniale sia la conseguenza di un atto di liberalità, osservano i giudici, la prova “deve essere documentale e la motivazione della pronuncia giurisdizionale deve fare preciso riferimento ai documenti che la sorreggono ed al relativo contenuto” (cfr Cassazione, sentenze 24597/ 2010 e 6397/2014).

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