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Extracomunitario arrestato in flagranza: emersione dal lavoro nero e permesso di soggiorno

Pubblicato il 24 febbraio 2017 Il Sole 24 ore;Italia Oggi

Con la sentenza n. 45 del 2017, depositata il 24 febbraio, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità sottoposta dal TAR del Piemonte, in relazione alle norme che vietano il rilascio del permesso di soggiorno all’extracomunitario che, pur avendo positivamente completato l’iter per l’emersione dal lavoro irregolare, sia stato condannato (o abbia patteggiato la pena) per alcuni reati che prevedono l’arresto in flagranza. Secondo la Corte, il TAR non ha adeguatamente motivato la ritenuta illegittimità, né ha correttamente valutato l’esistenza di una interpretazione “costituzionalmente orientata” delle norme vigenti.


Il TAR del Piemonte, ha sollevato la questione di legittimità del “combinato disposto” delle norme del TU delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (D. lgs. 286/98) che non consentono il rilascio del permesso di soggiorno al cittadino extracomunitario che, pur avendo ottenuto la regolarizzazione di una posizione lavorativa irregolare (art. 1-ter del D. L. 78/09), previo accertamento della propria pericolosità sociale, sia stato condannato per un reato (ancorchè “minore”) che comporti l’arresto in flagranza.


Secondo il TAR le norme impugnare violerebbero l’art. 3 Cost., quale conseguenza del rapporto tra due distinte sentenze costituzionali. La prima (148/08), che ha ritenuto non “manifestamente irragionevole” condizionare l’ingresso e la permanenza dello straniero in Italia alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo”; la seconda, (172/12), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma sul rilascio del nulla osta per l’emersione del lavoro irregolare “nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di regolarizzazione” dalla condanna per uno dei reati previsti dall’art. 381 del c.p.p., senza prevedere che la P.A. accerti che esso rappresenti una “minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato”.


La lettura delle due sentenze darebbe luogo ad una "irragionevolezza intrinseca” perché il lavoratore irregolare che abbia riportato condanna per reati legati a modiche quantità di stupefacenti “può ottenere (per il passato) il nulla osta all’emersione del lavoro irregolare, ma non può ottenere (per il futuro) il permesso di soggiorno per lavoro subordinato, neanche allo scopo di proseguire il rapporto di lavoro (…, regolare)….”. Secondo il TAR, occorrerebbe “attrarre” le conclusioni della sentenza n. 172/12 sul (sub)procedimento di emersione, anche al successivo (sub)procedimento di rilascio del permesso di soggiorno, “e ritenere così che l’assenza dell’automatica ostatività (della sentenza penale di condanna) predicata per il rilascio del nulla osta alla regolarizzazione possa assistere anche il rilascio del titolo di soggiorno per lavoro”.


La Corte ha dichiarato inammissibile la questione sottopostale, per alcuni vizi di motivazione sulla rilevanza della questione e, in particolare, per l’infondatezza dell’affermazione circa l’assenza di altre possibili interpretazioni costituzionalmente orientate. Aderendo alla prospettazione dell’Avvocatura Generale dello Stato, intervenuta in giudizio, la Corte ha sottolineato come, con lettura costituzionalmente orientata, la normativa in questione sia legittimamente applicabile nel senso che il permesso di soggiorno da rilasciare in relazione all’emersione del lavoro irregolare comporta un “automatismo ostativo” esclusivamente per i reati previsti dagli artt. 380 e 381 cod.proc.pen. Ma, a seguito della citata sentenza costituzionale 172/12, per quelli riconducibili alla seconda di tali norme, il diniego è condizionato all’accertamento “dell’effettiva pericolosità del cittadino straniero”.


Esiste quindi, una disciplina “generale” del permesso di soggiorno ed una “speciale” concernente l’emersione del lavoro irregolare. In quest’ultima, è stata ritenuta “meritevole di più intensa tutela” la situazione di chi abbia svolto attività di assistenza e sostegno familiare e, quindi, è previsto l’obbligo di accertarne in concreto la pericolosità sociale.

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