Nell'ambito di un rapporto di lavoro ultratrentennale, nel quale la modulazione oraria è stata prevista in alcuni periodi a tempo pieno e in altri a tempo parziale, la variazione in diminuzione dell'orario lavorativo non prevista da patto scritto comporta il diritto alle differenze retributive solo con riferimento alle fasi del rapporto appositamente previste in regime di part time.
Nulla spetta, invece, per i periodi in cui il rapporto di lavoro risultava a tempo pieno, in quanto solo con riferimento al contratto part time la variazione, in aumento o in diminuzione, del monte ore pattuito in origine richiede una manifestazione di volontà che non può essere desunta per fatti concludenti dal comportamento successivo delle parti.
La Corte di cassazione ha raggiunto queste conclusioni (sentenza 1375/2018 ) sull'assunto che, alla luce delle disposizioni di legge tempo per tempo vigenti, la modifica del regime orario del contratto part time non può intervenire unilateralmente, richiedendo il consenso scritto del lavoratore, cui non è possibile sopperire ex post attraverso l'acquiescenza del dipendente rispetto alla modifica unilaterale dei turni di servizio disposta, settimana dopo settimana, dal datore di lavoro. Per contro, prosegue la Cassazione, il patto relativo alla riduzione dell'orario di lavoro nell'ambito di un contratto a tempo pieno può essere dimostrata facendo riferimento al comportamento delle parti dopo le ripetute variazioni dei turni di servizio.
Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Suprema corte è relativo al rapporto di lavoro che per oltre 34 anni una sarta ha intrattenuto con lo stesso datore di lavoro, alternando periodi a tempo pieno ad altri in part time. Sul presupposto che il datore di lavoro aveva settimanalmente modificato (spesso in diminuzione) i turni di servizio sia nei periodi part time sia in quelli a tempo pieno, la dipendente ha sostenuto la violazione della disciplina sulla modifica non concordata dell'orario di lavoro e ha chiesto il pagamento delle differenze retributive rispetto al maggior orario previsto contrattualmente.
Il datore di lavoro si è difeso affermando che le variazioni dell'orario sono state frutto di accordo tra le parti, desumibile dall'avere la lavoratrice eseguito le prestazioni richieste in forza dell'orario volta per volta comunicato e senza mai opporre rifiuto.
La Cassazione, al fine di pervenire alla propria decisione, valorizza la distinzione dei periodi in cui la dipendente ha prestato servizio con contratto a tempo pieno e a tempo parziale, affermando che solo con riferimento ai periodi in cui la prestazione è prevista a part time la variazione dei turni orari deve risultare da patto scritto intervenuto tra le parti. Per i periodi full time, invece, la prova per cui le parti hanno concordato la riduzione della prestazione oraria può essere desunta dal comportamento successivo che le stesse hanno tenuto in costanza del rapporto.
Ad avviso della Cassazione, fermo il divieto di modificare unilateralmente il regime orario di lavoro, che si applica tanto al tempo pieno quanto al part time, solo nel rapporto a tempo parziale la variazione in diminuzione del regime orario deve risultare da atto scritto, mentre nell'ambito di un rapporto a tempo pieno la prova sul consenso del dipendente può essere raggiunta per fatti concludenti.