Le modifiche apportate dalla Legge di Bilancio 2018 al gruppo Iva suggeriscono alcune riflessioni. Ciò è reso più complesso dalle recenti sentenze della Corte di Giustizia UE (C-326/15, 605/15, 616/15) che hanno di fatto messo fuori gioco le strutture consortili, stabilendo che non possano più operare in esen-zione Iva nei confronti dei propri consorziati. Storicamente si è quindi utilizzato dapprima l’articolo 6, L. 133/1999 e successivamente le strutture consortili previste dall'articolo 10, comma 2, D.P.R. 633/1972. A seguito della sua introduzione, il gruppo Iva si è venuto a qualificare come opzione alternativa rispetto alla struttura consortile. In prima battuta si possono confrontare i limiti delle due alternative: il gruppo Iva ha come vincolo rilevante la regola dell’all in-all out (articolo 70-quater), vale a dire che la partecipa-zione deve riguardare tutti i soggetti che potenzialmente vi rientrano; la struttura consortile per operare in esenzione richiede che i consorziati abbiano un diritto alla detrazione non superiore al 10% e che le prestazioni vengano effettuate al puro costo. Laddove una mamma operi in vari Paesi mediante stabili organizzazioni, ai fini Iva i servizi infragruppo sono irrilevanti e non comportano un costo in presenza di svolgimento di attività esente. Questo concetto è stato modificato con la sentenza Skandia (C-7/13 del 17 settembre 2014). Delle conclusioni della sentenza Skandia ha preso atto il Legislatore nazionale con la Legge di Bilancio 2018, introducendo i commi da 4-bis a 4-sexies nell’articolo 70-quinquies, stabilendo che cessioni di beni e prestazioni di servizi sono rilevanti ai fini Iva: da e verso un gruppo Iva nazionale con controparte una sede o una società operativa estera; da e verso un gruppo Iva di uno Stato membro dell'Ue con controparte una sede o una società operativa italiana.