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Licenziamenti illeciti, indennità massima a prescindere dall’anzianità

Pubblicato il 22 gennaio 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Gli effetti della sentenza della Corte costituzionale sul regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi intimati nell'ambito dei contratti di lavoro a tutele crescenti iniziano a farsi sentire nei tribunali del lavoro. Quello di Genova ha liquidato a una dipendente il massimo possibile, a prescindere dall’anzianità.

Il Dlgs 23/2015 (il cardine del Jobs act, con le politiche attive) stabiliva che, in presenza di licenziamento illegittimo, salvo casi estremamente residuali di applicazione del reintegro, il datore di lavoro fosse condannato a pagare un’indennità risarcitoria in misura fissa e predeterminata pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr per ogni anno di servizio, partendo da un minimo di quattro e fino ad un massimo di 24 mensilità.

Per le imprese con non più di 15 dipendenti, l’ammontare dell’indennizzo partiva da un minimo di due mensilità e poteva progredire, in rapporto agli anni di servizio del lavoratore in azienda, fino ad un massimo di sei mensilità.

Il Decreto Di Maio ha modificato le soglie minima e massima, aumentandole della metà, ma senza alterare lo schema di tutela economica: un’indennità crescente sulla base del solo dato dell’anzianità di servizio (due mensilità per ogni anno intero, ridotta ad una per le piccole imprese).

Con la sentenza n. 194 dell’8 novembre 2018, la Corte Costituzionale ha scardinato il meccanismo delle tutele crescenti, eliminando il parametro delle due mensilità di riferimento per il calcolo del Tfr per ogni anno di servizio quale esclusiva unità di misurazione dell’indennità per licenziamento illegittimo.

La Consulta, sul presupposto che la disciplina sulla tutele crescenti si ponesse in violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, ha ritenuto incostituzionale la previsione di un meccanismo risarcitorio ancorato unicamente sugli anni di servizio, concludendo che, nell’ambito dei limiti minimo e massimo fissati dal Dlgs 23/2015 (come riformati dal Decreto Di Maio), il giudice sia chiamato a determinare l’entità del risarcimento sulla base di parametri aggiuntivi, già presenti nell’ordinamento interno, quali i livelli occupazionali, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti.

Applicando la pronuncia costituzionale, il Tribunale di Genova, con ordinanza del 21 novembre 2018, ha liquidato a una dipendente giornalista illegittimamente licenziata l’indennità nella misura massima prevista dal Dlgs 23/2015 per le piccole imprese (sei mensilità). Per determinare l’entità del ristoro patrimoniale, il Tribunale si è specificamente affidato, a prescindere dall’anzianità aziendale, alle elevate competenze professionali della lavoratrice ed alle gravi violazioni che hanno accompagnato il recesso, osservando come le condizioni e il comportamento delle parti acquisiscano un ruolo centrale nella determinazione del risarcimento dovuto in applicazione delle tutele crescenti.

La decisione del tribunale genovese è il segno evidente del rinnovato spazio che i giudici hanno nel determinare la misura del risarcimento, con le inevitabili ricadute per le imprese in termini di incertezza sulle conseguenze economiche di un licenziamento impugnato in giudizio.


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