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Rito delle tutele crescenti ma tutela dell’articolo 18

Pubblicato il 01 febbraio 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

L’introduzione del giudizio di impugnazione del licenziamento con un rito errato determina unicamente effetti processuali e non effetti sostanziali quali il perfezionarsi di decadenze. Il lavoratore assunto nel 2016, ma a cui contrattualmente viene riconosciuta l’applicazione dell’articolo 18 deve impugnare in giudizio il licenziamento con il rito ordinario (previsto per le “tutele crescenti”), anche se richiede il riconoscimento delle tutele previste dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori come modificato dalla legge 92/2012.

Con lasentenza 1055/2018 , la Corte d’appello di Milano si è pronunciata sul contenzioso riguardante un lavoratore che, ricorrendo contro il suo licenziamento, ha instaurando il giudizio secondo il “rito Fornero” (riservato ai “vecchi” assunti).

Il tribunale di Milano ha pronunciato sentenza di inammissibilità del ricorso per erroneità del rito: il giudizio avrebbe dovuto essere introdotto nelle forme del rito “ordinario” e non in quelle del “rito Fornero”, che è precluso - per espressa previsione di legge - ai “nuovi” assunti. Il lavoratore ha instaurato quindi un secondo giudizio con il rito ordinario, nel quale l’azienda si è costituita eccependo l’intervenuta decadenza del lavoratore dall’impugnazione atteso che, alla data del deposito del ricorso introduttivo del secondo giudizio, era spirato il termine di decadenza di 180 giorni.

Secondo il tribunale, però, l’introduzione del giudizio con il rito erroneo, «pur sfociando in una pronuncia di inammissibilità», è comunque idonea a impedire il verificarsi di decadenze. Nel merito, ravvisando una violazione del principio di proporzionalità tra il fatto commesso dal lavoratore e la sanzione espulsiva, il giudice ha dichiarato il rapporto risolto alla data del licenziamento e condannato l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria nella misura minima pari a 12 mensilità di retribuzione. La Corte d’appello ha integralmente confermato le statuizioni del tribunale: «nel caso in esame la sentenza di inammissibilità non poteva che avere un valore processuale non intaccando minimamente gli aspetti sostanziali del rapporto processuale», atteso che, con il deposito del ricorso introduttivo del “primo” giudizio, il lavoratore «aveva già posto in essere il comportamento necessario per impedire la indicata decadenza».

Secondo la Corte d’appello, tuttavia, il giudice non deve limitarsi a dichiarare l’inammissibilità del ricorso bensì convertire il rito assegnando alle parti un termine per la regolarizzazione degli atti processuali, stante l’applicabilità in via analogica degli articoli 426 e 427 del codice di procedura civile dettati per i rapporti tra processo del lavoro e processo civile.


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