Il rapporto di lavoro dirigenziale si caratterizza in maniera peculiare rispetto a quello dei lavoratori non dirigenti, con una serie di conseguenze che si riverberano su molteplici aspetti della prestazione lavorativa, tra i quali spicca di certo la disciplina dei licenziamenti.
A tale proposito, come più volte affermato dalla Corte di cassazione e come di recente dalla stessa ancora una volta ribadito (sezione lavoro, 11 marzo 2019, n. 6950), si può rilevare, tra le altre cose, che la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non può essere ricondotta a quelle di giusta causa o di giustificato motivo di licenziamento di cui all'art. 1 della legge n. 604/1966.
La conseguenza di ciò, la cui portata è di grande rilievo, risiede nel fatto che il licenziamento di un dirigente può risultare giustificato anche se deriva da delle condotte che in linea generale non integrano una giusta causa né un giustificato motivo di recesso datoriale. Perché il licenziamento non sia censurabile è comunque indispensabile che il comportamento del dirigente sia, innanzitutto, rilevante per il diritto e, inoltre, idoneo a compromettere il legame di fiducia che lega tale figura professionale al datore di lavoro.
La recente sentenza della Corte di cassazione ha anche posto in evidenza un ulteriore aspetto di rilievo in materia di licenziamento dei dirigenti, ai quali sono applicate le garanzie procedimentali poste dai commi 2 e 3 dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori.
Sostanzialmente, rifacendosi a una consolidata giurisprudenza che ha preso le mosse da quattro importanti sentenze delle Sezioni Unite del 1994 (nn. 3965, 3966, 4844 e 4846), la Corte ha affermato che il mancato rispetto del procedimento dettato dal predetto art. 7 della legge 300/1970 rende il recesso non nullo ma solo ingiustificato, determinando in particolare l'illegittimità del licenziamento disciplinare, "sottoposto quindi alla regola (tutela reale, tutela obbligatoria, recesso libero con preavviso) prevista per l'ingiustificatezza sostanziale".
Da ciò, con riferimento ai dirigenti – ai quali non è riconosciuta una tutela legale in proposito – deriva l'applicazione della sola indennità supplementare eventualmente prevista dal contratto collettivo applicabile.
Si ritiene opportuno ricordare, a tale ultimo proposito, che l'indennità supplementare è un rimedio spesso riconosciuto dalla contrattazione ai dirigenti per ovviare alla circostanza che in caso di loro licenziamento illegittimo non operano le tutele che sono invece previste per operai, impiegati e quadri. Si tratta, in sostanza, di una tutela che ha natura risarcitoria e che non rientra nel reddito imponibile del dirigente che ne beneficia.