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Infortunio sul lavoro, prassi aziendale non imputabile al datore inconsapevole

Pubblicato il 21 maggio 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

La prassi aziendale di rimuovere presidi di sicurezza non è imputabile al datore di lavoro che ne sia inconsapevole. A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione, con sentenza 15 maggio 2019, numero 20833, intervenendo su una fattispecie che è indispensabile sintetizzare per meglio comprendere le argomentazioni dei supremi giudici.

Un dipendente, addetto alla lavorazione di tubicini in plastica mediante macchine spezzonatrici, ha infilato una mano nello scivolo della macchina stessa, in quel momento priva di dispositivo di protezione, spingendola fino al punto dove era posizionata una lama e ha subito l'amputazione della falange di un dito.

La Corte di appello ha ritenuto sussistente la violazione dell'articolo 71 del Dlgs 81/2008 che fa obbligo al datore di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all'utilizzazione di una macchina; il rischio derivante da un uso improprio delle macchine spezzonatrici sarebbe stato conosciuto o quanto meno conoscibile da parte del datore di lavoro, ma non sarebbe stato da lui adeguatamente fronteggiato; i lavoratori eseguivano in modo ricorrente e non episodico lavorazioni senza la protezione della quale la macchina era corredata, svolgendo la manovra di rimozione in modo da non farsi vedere dal personale dell'azienda preposto alla vigilanza.

Per la Corte di appello, il datore, pur mettendo a disposizione degli operatori un'apparecchiatura provvista di un dispositivo di sicurezza, sarebbe stato a conoscenza del fatto che tale dispositivo veniva in alcuni casi rimosso e, nonostante ciò, non avrebbe preteso che l'uso dell'apparecchiatura avvenisse in conformità alle norme d'impiego.

Stanti tali premesse, la Corte di cassazione spiega che dal percorso motivazionale seguito dalla Corte d'appello non si ricava in alcun modo la certezza che il datore fosse a conoscenza della prassi di rimozione della protezione. Nemmeno la presenza in azienda di un sistema di vigilanza finalizzato ad assicurare l'espletamento "in sicurezza" delle lavorazioni e il rapporto di dipendenza del personale di vigilanza dal datore di lavoro costituiscono di per sé prova né della conoscenza, né della conoscibilità, da parte di quest'ultimo, di prassi aziendali volte a eludere i dispositivi di protezione presenti sui macchinari messi a disposizione dei dipendenti.

La Suprema corte continua affermando che il datore di lavoro è sì responsabile del mancato intervento finalizzato ad assicurare l'utilizzo in sicurezza di macchinari e apparecchiature provvisti di dispositivi di protezione e deve esigere che tali dispositivi non vengano rimossi; ma, nel caso di infortuni derivanti dalla rimozione delle protezioni a corredo dei macchinari, anche laddove tale rimozione si innesti in prassi aziendali diffuse o ricorrenti, «è necessaria l'acquisizione di elementi probatori certi ed oggettivi che attestino che egli fosse a conoscenza di tali prassi, o che le avesse colposamente ignorate».

Diversamente, concludono i supremi giudici, «si porrebbe in capo al datore di lavoro una responsabilità penale di posizione tale da eludere l'accertamento della prevedibilità dell'evento - imprescindibile nell'ambito dei reati colposi - e da sconfinare, in modo inaccettabile, nella responsabilità oggettiva».


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