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Per andare in pensione la cessazione dal lavoro deve essere effettiva

Pubblicato il 28 maggio 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

La cessazione dell'attività lavorativa, quale requisito per accedere alla pensione di anzianità, deve essere effettiva. Se un lavoratore si dimette, e viene poi riassunto dallo stesso datore di lavoro alle medesime condizioni, scatta la presunzione di cessazione simulata.

Con la sentenza 14417/2019 la Corte di cassazione ha ripercorso l'evoluzione normativa relativa alle condizioni per l'accesso alla pensione anticipata e alla cumulabilità tra trattamento previdenziale e reddito da lavoro, giungendo a formulare un principio di diritto: «Il regime di cumulabilità dei redditi da lavoro dipendente e della pensione di anzianità non esclude che quest'ultima possa essere erogata solo se al momento della presentazione della relativa domanda il rapporto di lavoro dipendente sia effettivamente cessato. A riguardo, deve ravvisarsi una presunzione semplice del carattere simulato della cessazione di tale rapporto ove essa sia seguita da immediata riassunzione del lavoratore, alle medesime condizioni, presso lo stesso datore di lavoro».

I giudici si sono pronunciati su un contenzioso tra l'Inps e un lavoratore. Quest'ultimo si è dimesso il 28 febbraio ed è stato riassunto il 1° marzo (dello stesso anno e non bisestile) dalla stessa azienda. Con effetto il 1° marzo è stata liquidata anche la pensione. Secondo la Corte d'appello la cessazione del rapporto di lavoro è stata effettiva, come testimoniato dall'erogazione del Tfr, del libretto di lavoro e dai prospetti paga. Sempre secondo la Corte d'appello, il fatto che sia stato sottoscritto un nuovo contratto tra le parti il primo giorno di pensionamento non è da ritenersi contrario alla legge, anche in base alla circolare Inps 89/2009 e nota del ministero del Lavoro 12/2009 secondo cui non è previsto un lasso di tempo minimo tra la cessazione del rapporto di lavoro e il reimpiego.

In realtà nella circolare 89/2009 si legge anche che «la ripresa dell'attività lavorativa da parte del lavoratore che consegue la pensione di anzianità non può in alcun caso coincidere con la data di decorrenza del trattamento pensionistico», cioè proprio la situazione oggetto di contenzioso.

La Corte di cassazione ricorda che la pensione di anzianità è subordinata alla risoluzione del rapporto di lavoro o alla cessazione dell'attività autonoma (articolo 10, comma 6, del Dlgs 503/1992) e che tale requisito è stato successivamente esteso alla pensione di vecchiaia (articolo 1, comma 7, del Dlgs 503/1992). La successiva possibilità di cumulare pensione e attività lavorativa non modifica la necessità del requisito della cessazione dell'attività lavorativa per accedere alla pensione. Quest'ultimo costituisce «una presunzione di bisogno che giustifica ai sensi dell'articolo 38 della Costituzione l'erogazione della prestazione sociale».

In base alla normativa (articolo 22 della legge 153/1969) e alla circolare Inps 89/2009, tuttavia, non è vietato farsi riassumere immediatamente dopo la decorrenza della pensione. Nel caso oggetto del contendere, il lavoratore avrebbe potuto far decorrere il contratto dal 2 marzo. Tuttavia la Cassazione afferma che la discontinuità tra l'attività lavorativa prima e dopo la pensione non si deve limitare alla ricerca di «un mero iato temporale più o meno significativo ma partire dalla considerazione che, laddove l'attività lavorativa successiva al pensionamento intercorra con il medesimo datore di lavoro ed alle medesime condizioni di quelle proprie del rapporto precedente a tale evento, si configura una presunzione di simulazione dell'effettiva risoluzione del rapporto di lavoro al momento del pensionamento».

Dunque, sembrerebbe che secondo i giudici un nuovo rapporto di lavoro alle medesime condizioni sia incompatibile con la pensione anche se decorrente qualche tempo dopo la stessa. Per superare la presunzione di simulazione dell'interruzione del rapporto di lavoro si deve fare ricorso a «plurimi potenziali indici sintomatici, ulteriori rispetto ad un mero dato temporale» (non indicati dai giudici) per verificare che il rapporto di lavoro abbia caratteristiche nuove rispetto al precedente.

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