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Retribuzioni non in linea con i Ccnl escludono l’azienda dagli sgravi

Pubblicato il 03 giugno 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Sotto la lente degli ispettori del lavoro il trattamento economico e normativo garantito ai lavoratori dalle aziende: quelle che non rispettano gli accordi e i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni dei datori e dei lavoratori più rappresentative sul piano nazionale rischiano di perdere gli sgravi normativi e contributivi (compresi quelli per chi assume percettori del reddito di cittadinanza).

È il senso delle precisazioni fornite dall’Ispettorato nazionale del lavoro con la circolare 7 del 6 maggio 2019 , che contiene chiarimenti alle articolazioni territoriali sulla corretta applicazione delle disposizioni previste dall’articolo 1, comma 1175, della legge 296/2006.

Già in passato, con la circolare 3/2018 , l’Ispettorato aveva ricordato che l’ordinamento prevede l’applicazione di specifiche discipline di vantaggio solo in presenza di contratti collettivi dotati del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi. In particolare, la nota afferma che in assenza del rispetto del contratto collettivo:

- il contratto di prossimità non può produrre effetti derogatori; 

- la contribuzione dovuta si deve calcolare solo sui contratti nazionali comparativamente rappresentativi;

- le deroghe ai contratti a termine, al contratto a chiamata o all’apprendistato avranno efficacia solo se previste da una fonte negoziale qualificata.

Con la circolare 7/2019, l’Ispettorato ricorda ora che l’applicazione dei contratti collettivi è indispensabile anche per il godimento dei benefici normativi e contributivi. L’articolo 1, comma 1175, della legge 296/2006 subordina infatti il godimento dei benefici al «rispetto degli accordi e contratti collettivi».

Secondo le indicazioni dell’Inl, gli ispettori, in sede di vigilanza, non dovranno fermarsi alla formale applicazione del contratto comparativamente più rappresentativo, ma dovranno accertare che le aziende siano impegnate a corrispondere ai lavoratori dei trattamenti economici e normativi equivalenti o superiori a quelli previsti da tali contratti, a prescindere, quindi, da quale sia il contratto collettivo applicato o, addirittura, a prescindere da una formale indicazione, abitualmente inserita nel contratto individuale, sull’applicazione di uno specifico contratto collettivo.

La circolare precisa altresì che la valutazione comparativa non deve tenere in considerazione i trattamenti corrisposti a seguito di misure collegate a premi di produzione per le quali, a seguito di accordi sindacali o piani di welfare, si ottengano benefici di natura contributiva o fiscale. Le aziende, per poter fruire legittimamente dei benefici contributi e normativi, dovranno altresì essere in regola con il versamento dei contributi e rispettare le norme sulla salute e sicurezza sul lavoro, le cui violazioni, in casi particolarmente gravi, riportati nell’allegato al decreto ministeriale del 2015 sul Durc, comporteranno la sospensione della regolarità contributiva.

L’attenzione dell’Ispettorato nazionale, tuttavia, si attesta su un giudizio di equivalenza che se non debitamente specificato rischierà di non consentire agli ispettori di poter concretamente valutare il rispetto dei trattamenti retributivi e normativi applicati al lavoratore. Infatti, ci potrebbero essere casi in cui la retribuzione sia inferiore ai minimi tabellari, nondimeno un accordo di secondo livello potrebbe prevedere un maggior numero di giorni di ferie ovvero una maggiorazione per lavoro straordinario superiore a quella prevista dal contratto collettivo applicato in azienda.

Le indicazioni dell’Ispettorato, anche precedenti alla circolare, non hanno fornito agli ispettori criteri univoci di individuazione del contratto collettivo comparativamente rappresentativo nel settore di riferimento sia dal lato datoriale, sia da quello dei lavoratori. Tale carenza potrebbe determinare un blocco dell’attività ispettiva mirata a contrastare il dumping contrattuale. In definitiva, le articolazioni territoriali non avendo a disposizione un criterio certo sulla rappresentatività, se non l’accordo interconfederale, avranno difficoltà a individuare la fonte collettiva applicabile e conseguentemente a disconoscere un eventuale contratto di prossimità, a revocare un beneficio normativo o contributivo, a delegittimare una deroga del contratto a tempo determinato ovvero un contratto di apprendistato. Non solo, ma anche volendo prescindere dal contratto collettivo e operare un giudizio di equivalenza sul trattamento retributivo e normativo, manca una disciplina legale di riferimento che consenta di avere certezza sul “non rispetto” degli accordi o contratti collettivi.

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