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Vendita di opere d’arte, gli atti collegati fanno scattare l’attività commerciale

Pubblicato il 23 settembre 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

L’attività di compravendita di opere d’arte e di beni di antiquariato o da collezione si è incrementata nel corso degli ultimi anni. Nella risposta all’interrogazione parlamentare 5-01718 del 2019 è stato afferma-to che i redditi derivanti dalla cessione di opere d’arte possono risultare imponibili in base all’articolo 67, comma 1, lettera d), Tuir e che la dimostrazione del carattere occasionale o meno dell’attività commerciale «implica sovente complesse attività di analisi, dagli esiti spesso incerti, finalizzate a ricostruire una pluralità di atti – anche compiuti nell’arco di diversi anni – tra loro collegati e preordinati al conseguimento di un reddito». Nell’attività “amatoriale” è assente una preordinazione di atti finalizzati all’alienazione dei beni e al conseguimento del profitto. Si ricorda che la Consob ha ritenuto, nella Comunicazione Dtc/13038246/2013 – relativa alla compravendita di diamanti da investimento –, che non possono qualificarsi quali prodotti finanziari (idonei a generare redditi di natura finanziaria) le operazioni di investimento in attività reali o di consumo che, «anche se concluse con l’intento di investire il proprio patrimonio, sono essenzialmente dirette a procurare all’investitore il godimento del bene, a trasformare le proprie disponibilità in beni reali idonei a soddisfare in via diretta i bisogni non finanziari del risparmiatore stesso». La Cassazione ha precisato, nella sentenza 2736/2013, che si è in presenza, invece, di un «investimento di natura finanziaria» se un’opera d’arte è venduta a prezzo scontato ed è concesso all’acquirente di risolvere il contratto e restituirla ottenendo un importo pari al prezzo di listino del be-ne, perché il contratto non ha lo scopo di consentire il godimento dei beni da parte del contribuente (si veda, in senso analogo, la sentenza 5911/2018).


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