Le aziende dovrebbero affrontare il tema delle comunicazioni sui social media (e dei rischi connessi) cercando di anticipare eventuali incidenti di percorso.
Lo strumento principale per adottare questo approccio è quello delle social media policy: codici di comportamento con i quali il datore di lavoro disciplina una serie di aspetti, anche legali, collegati all’utilizzo di internet e, soprattutto, dei social media (Facebook, Twitter, Linkedin, Instagram e così via).
La social media policy interna fornisce indicazioni vincolanti al personale su come deve essere gestita la presenza social dell’azienda (pagina Facebook, LinkedIn, Twitter), sull’uso dell’account aziendale e personale e, in generale, sulla presenza sul web del lavoratore.
Il contenuto di questi codici di condotta varia in base al tipo di attività svolto dall’azienda e ai riflessi che le comunicazioni dei dipendenti possono avere su questa attività. Una società della moda può, ad esempio, chiedere ai propri dipendenti di astenersi dal commentare le collezioni prodotte dai propri concorrenti, mentre una squadra di calcio professionistico può imporre al personale di astenersi dalle discussioni sulle competizioni agonistiche alle quali partecipa la squadra.
In altre parole, ogni policy deve essere predisposta ad hoc e con riferimento specifico all’attività aziendale e all’organizzazione del lavoro, armonizzando il suo contenuto con quello eventualmente previsto in altre policy e regolamenti aziendali o di gruppo.
Queste prescrizioni devono sempre tenere conto della necessità di non comprimere eccessivamente il diritto di espressione dell’individuo: il confine tra questo diritto e la facoltà dell’azienda di mettere un “bavaglio” alle comunicazioni via social media dei dipendenti non è facile da tracciare.
Un criterio utile per rintracciare questo confine riguarda l’attinenza dei limiti imposti al personale con l’attività aziendale: tanto più i divieti riguardano la sfera di attività dell’impresa, tanto meno è invocabile il diritto di espressione. Diventa difficile, invece, mettere limiti alla pubblicazione di messaggi che esulano dal campo di attività dell’impresa, a meno che la trattazione di questi temi non produca un riflesso potenzialmente dannoso sulla stessa. Si pensi, ad esempio, a un dipendente che si lamenta per l’eccesso di rifiuti lasciati sulla strada. È una lamentela lecita, che tuttavia può arrecare un danno all’azienda, nel caso questa sia fornitrice dell’impresa che si occupa (anche se con risultati scadenti) della raccolta dei rifiuti.
Ma quali sono le regole da seguire e le cautele da adottare per rendere queste policy operative, vincolanti e, soprattutto, idonee allo scopo? Nessuna fonte legale ne stabilisce i contenuti minimi, ma ciò che non deve mancare è l’esatta individuazione della sua finalità, delle condotte lecite e illecite e, soprattutto, l’indicazione dettagliata di quali saranno le conseguenze in caso di violazione, precisando con chiarezza la rilevanza disciplinare del mancato rispetto delle regole.
Tutte le aziende di medie e grandi dimensioni oggi hanno un social media manager: il coinvolgimento di questa figura è essenziale nella redazione di una policy aziendale efficace, perché garantisce la coerenza tra il tipo di posizionamento che l’azienda intende darsi sul mercato e i messaggi che la stessa azienda diffonde, tramite i propri dipendenti, sui social media.