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Dirigente, licenziamento ingiustificato: l’impugnazione non soggiace ai termini di decadenza previsti per l’invalidità

Pubblicato il 13 gennaio 2020 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Un noto istituto di credito intimava il licenziamento a un proprio dirigente. Il provvedimento veniva immediatamente impugnato innanzi al Tribunale competente, che dopo aver rigettato l’infondata eccezione di decadenza dell’impugnativa sollevata da controparte, ne accoglieva le doglianze.

La sentenza non veniva confermata in appello dai giudici di secondo grado che - a differenza dei primi - ritenevano tardiva la domanda giudiziale proposta dal lavoratore, in seguito all’estensione della disciplina in materia di licenziamento affetto da ingiustificatezza (legge n. 604/1966 novellata e modificata dalla legge n. 92/2012) alle fattispecie riguardanti i dirigenti. Secondo le predette norme, il computo dei termini entro i quali impugnare il provvedimento di cessazione del rapporto di lavoro, deve decorrere dalla data di invio dell’impugnativa stragiudiziale e non da quella di ricezione della predetta dal datore di lavoro. Avverso la sentenza la difesa del lavoratore proponeva ricorso in Cassazione.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 395, depositata il 13 gennaio 2019, ha accolto il ricorso presentato dal lavoratore. I giudici di legittimità, in via preliminare, rilevano che il Collegato lavoro (legge n. 183/2010) ha esteso a tutti i casi di invalidità del licenziamento le disposizioni in materia di decadenza di presentazione delle forme di impugnazione (legge n. 604/1966), dunque anche quelli estranei alle predette disposizioni normative. Diversamente, le ipotesi di ingiustificatezza, prosegue la Corte, secondo un consolidato orientamento sono escluse dal novero delle citate disposizioni normative e, di conseguenza, dai termini decadenziali per la proposizione di una qualsiasi forma di impugnazione. Si tratta, infatti, di norme speciali che regolano peculiari fattispecie rientranti nel novero dell’invalidità, del tutto differente dall’ampio concetto di illegittimità, che deve essere inteso nel senso restrittivo dell’incapacità dell’atto privato contrario ad una norma, di produrre effetti conformi alla sua funzione economico e sociale.

Pertanto, secondo i giudici, data la particolarità della norma non è possibile pervenire ad un ampliamento della portata oggettiva, tale da potervi includere ogni ipotesi di patologia del licenziamento.

Nel caso di specie, l’impugnazione del licenziamento per ingiustificatezza era stata ricompresa nella disciplina restrittiva dell’invalidità, seguendone così l’applicazione estensiva della normativa speciale sulla decadenza. Da qui l’accoglimento del ricorso.