Le catene di imprese che, attraverso i vari contratti di appalto, subappalto e affidamento sono coinvolte nell’esecuzione di un’opera sono arruolate a pieno titolo negli adempimenti previsti dall’articolo 17-bis del Dlgs 241/1997, nell’interpretazione resa dalle Entrate con la circolare 1/E/2020. Al fine di evitare aggiramenti della soglia quantitativa di 200mila euro annui fissata dal legislatore, la circolare individua essenzialmente tre situazioni, ognuna caratterizzata da diversi obblighi per i soggetti coinvolti e da dubbi applicativi.
Nella prima fattispecie tra committente e appaltatore (anche in forma di associazione temporanea di imprese) sussiste un contratto superiore alla soglia e gli ulteriori requisiti (prevalente utilizzo di manodopera, prestazione svolta presso le sedi di attività del committente, utilizzo di beni strumentali messi a disposizione dal committente) si rispecchiano in tutti i rapporti, considerando, di volta in volta, come «committente» l’impresa che commissiona l’opera (ad esempio, lo sarà l’appaltatrice verso la subappaltatrice). In questa ipotesi, gli obblighi coinvolgono tutti, anche qualora i contratti successivi nella filiera rispetto al primo (committente-appaltatore) siano sotto soglia.
La norma prevede che le imprese subappaltatrici trasmettano la certificazione di regolarità o, in sua assenza, la documentazione comprovante i versamenti e la loro correttezza sia al committente che all’appaltatore. Il primo soggetto sembra, quindi, onerato di un doppio controllo e il subappaltatore subirà due verifiche a contenuto analogo. Ma nel modello F24 versato dal subappaltatore privo di certificato e contenente le ritenute relative a questo contratto andrà indicato un unico codice fiscale come committente: ci si chiede se costui sia l’originario committente o, come si ritiene, l’appaltatore (in veste di “committente” del subappaltatore). Ma se così è, come fa il committente a verificare un F24 che, tra l’altro, non troverà nemmeno nel proprio cassetto fiscale? Dal paragrafo 4.3 della circolare si comprende che se il subappaltatore non trasmette quanto dovuto o dai documenti emergono delle irregolarità, il committente deve bloccare i pagamenti all’appaltatore, nonostante egli sia adempiente (ad esempio ha presentato regolarmente il Durf), il quale, a sua volta, farà lo stesso con il subappaltatore.
In questo caso, al di là dell’anomalia di veder punito – in termini di liquidità – l’appaltatore per un comportamento omissivo del subappaltatore, non si comprende se il limite imposto all’originario committente di trattenere sino al 20% del valore dell’opera riguardi il contratto tra committente e appaltatore o quello tra appaltatore e subappaltatore. E neppure è chiaro come l’originario committente possa essere a conoscenza dei contratti collettivi applicati dal subappaltatore e possa verificare l’«effettiva presenza dei lavoratori presso la sede del committente», che, per quanto abbiamo detto, è, in realtà, da considerarsi come sede dell’appaltatore. Il committente deve, inoltre essere perfettamente aggiornato su quanti e quali contratti di subappalto siano stati stipulati per l’esecuzione dell’opera e quanti siano i dipendenti coinvolti per ciascuna ditta.
La seconda fattispecie si ha quando, nell’ambito di una catena analoga alla precedente, i requisiti non quantitativi non si verificano in capo al committente, ma solo tra appaltatore e subappaltatore (nonostante quest’ultimo contratto possa essere sotto soglia). Se il subappaltatore lavora presso l’originario committente, lo fa perché in esso vi è un luogo di svolgimento dell’attività dell’appaltatore, il quale mette a disposizione in tale luogo propri mezzi a beneficio del subappaltatore. In questo caso il flusso certificato-documenti è solo tra appaltatore e subappaltatore, mentre il committente è al di fuori sia del flusso documentale che dall’attività di controllo.
La terza fattispecie è quella in cui il committente è escluso dagli adempimenti per natura (ad esempio, persona fisica o soggetto non residente senza stabile organizzazione) o per l’impossibilità di riscontrare i requisiti richiesti (condominio, ente pubblico o non commerciale che sta svolgendo attività istituzionale ecc.). Ai fini operativi si torna alla fattispecie precedente.
La situazione più problematica, quindi, che non pare risolta neppure dai chiari–menti della circolare, si verifica quando anche il committente è coinvolto nelle verifiche o quando la catena che parte dall’appaltatore (che ben potrebbe essere un consorzio o una società consortile, anche come soggetti subentrati all’Ati nell’esecuzione dell’opera) contiene più livelli di subappalto.