Indipendentemente dalle previsioni della contrattazione collettiva, le sanzioni disciplinari devono essere proporzionali alla condotta effettivamente tenuta dal lavoratore, anche in considerazione della circostanza concreta e della storia del dipendente in azienda. Pertanto, è illecito il licenziamento per giusta comminato alla lavoratrice che, dopo numerosi anni in azienda senza alcun precedente disciplinare a suo carico, sia stata assente ingiustificata dal lavoro per cinque giorni a causa di un incidente subito dal proprio partner, al quale ha prestato assistenza nei giorni di assenza.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 3283/2020, confermando la decisione con cui la Corte d'Appello di Bologna aveva condannato una società con meno di quindici dipendenti a corrispondere l'indennità sostitutiva della reintegra in favore di una lavoratrice, licenziata per giusta causa dopo essersi assentata per ben cinque giorni dal servizio senza presentare idonee giustificazioni.
A nulla è valsa la difesa della società datrice di lavoro, che ha sottolineato come sia proprio il contratto collettivo applicato al rapporto a prevedere il licenziamento in tronco nei casi di assenza ingiustificata per un periodo di durata superiore a cinque giorni. Infatti, precisano i giudici di Cassazione, anche a fronte di una tipizzazione da parte della contrattazione collettiva della condotta rilevante ai fini disciplinari, spetta in ogni caso al giudice il compito di verificare in ultima istanza la proporzionalità tra la condotta del dipendente e il provvedimento irrogato.
Ciò perché, coerentemente con i principi ormai granitici della giurisprudenza, i concetti di giusta causa di licenziamento e di proporzionalità della sanzione disciplinare costituiscono disposizioni di limitato contenuto, che impongono in ogni caso di essere concretizzate tramite la valorizzazione tanto dei fatti, quanto delle circostanze sottese agli stessi e dei principi generali posti alla base delle norme in materia di licenziamento disciplinare.
Al riguardo, nel valutare la legittimità di un provvedimento espulsivo il giudice deve anzitutto esaminare il comportamento del dipendente per appurare se esista in effetti un inadempimento degli obblighi contrattuali di tale gravità da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto di lavoro. Ed infatti, se è vero che il rapporto lavorativo può essere cessato in tronco a fronte di una grave lesione del vincolo fiduciario che deve necessariamente esistere tra datore e prestatore di lavoro, è altrettanto vero che una simile lesione non può che discendere da fatti “di non scarsa importanza” e, cioè, da eventi effettivamente idonei ad arrecare un danno al datore di lavoro e da fargli dubitare di poter fare affidamento sul proprio dipendente nel futuro.
Nel caso deciso dalla Suprema corte, i giudici di merito hanno senz'altro riconosciuto il disvalore della condotta posta in essere dalla dipendente che si è assentata ingiustificatamente dal lavoro per cinque giorni, così confermando l'opportunità di sanzionare la stessa. Allo stesso tempo, però, i giudici hanno valutato la non proporzionalità della sanzione espulsiva alla luce del contesto in cui la condotta era stata posta in essere: la dipendente, infatti, si era assentata per adempiere ad un generale dovere di assistenza che la lega al proprio partner convivente, in quei giorni bisognoso di cure a seguito di un incidente stradale.
Inoltre, proseguono i giudici, per valutare in modo opportuno la sanzione da irrogare nei confronti della dipendente, la società avrebbe dovuto tenere conto del fatto che la stessa lavorasse da molti anni nella stessa impresa e, nel corso dell'intero rapporto, non era mai stata sanzionata. Allo stesso modo, valeva a minare la legittimità del licenziamento anche la circostanza che il datore di lavoro non avesse dimostrato di avere effettivamente subito un danno in conseguenza dell'assenza ingiustificata: non è bastata al riguardo la considerazione della società, secondo cui il danno sta nel fatto stesso di non potere contare sulla prestazione lavorativa.
Per concludere, la recente decisione della Corte di Cassazione è occasione utile per rammentare come nell'ambito di un procedimento disciplinare la contrattazione collettiva sia senz'altro un punto di riferimento da cui il datore non può prescindere. Tuttavia, nel caso di contestazione di un addebito disciplinare, è sempre opportuno valutare con attenzione le giustificazioni presentate dal dipendente, oltre che tutte le circostanze del caso, inclusa la storia del lavoratore in azienda: il licenziamento in tronco, infatti, è fondato solo quando connesso alla dimostrata lesione definitiva del vincolo fiduciario da parte del dipendente.