Accettare un “taglio” del canone o rifiutarsi, aumentando però il rischio di non incassare nulla? È la scelta che sono chiamati a fare i proprietari degli immobili affittati, che devono rispondere alle richieste dei conduttori oggi costretti a sospendere l’attività o a esercitarla in maniera molto ridotta. Il locatore può considerare molte variabili, a volte anche soggettive. Ma non si può negare che anche la variabile fiscale abbia un certo peso in tali decisioni. Anche di recente (CTR Toscana 151/IV/2020), la giurisprudenza di merito ha ricordato il costante orientamento della Cassazione teso a valorizzare la distinzione tra gli immobili abitativi (per cui ha effetto la convalida di sfratto per morosità e, per i contratti stipulati dal 1° gennaio scorso, l’ingiunzione di pagamento, come stabilito dal D.L. 34/2019) e gli immobili diversi, per i quali l’unica via d’uscita è la risoluzione del contratto di locazione, in tutte le forme previste dalla legge (Corte Costituzionale n. 362/2000; Cassazione n. 12332/2019 e circolare n. 11/E/2014). Una via che, ove non contrattualmente prevista, può presentare diversi ostacoli. A ogni modo, proprio queste sentenze insegnano che, nel caso si decida a favore della riduzione del canone, è opportuno (anche se non obbligatorio in quanto scrittura privata non autenticata, risoluzione n. 60/E/2010) che l’accordo sia registrato, al fine di evitare indebite (ma assai probabili) richieste di maggiori imponibili da parte dell’amministrazione finanziaria. Tra l’altro, la registrazione dell’accordo di riduzione è esente da imposta di registro e di bollo (articolo 19, D.L. 133/2014).