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Contratti a termine, sì al rinnovo con causale

Pubblicato il 30 aprile 2020 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

L’articolo 19 bis del decreto Cura Italia, introdotto in fase di conversione in legge e che permette di rinnovare o prorogare i contratti a termine, anche a scopo di somministrazione, durante i periodi di godimento degli ammortizzatori sociali, consentirà di gestire in maniera flessibile e intelligente diverse situazioni scottanti.
Secondo la normativa vigente, l’accesso agli ammortizzatori sociali, in una delle diverse forme esistenti, avrebbe avuto un effetto immediato: il divieto di prorogare o rinnovare i rapporti a termine. Con l’entrata in vigore della legge di conversione (in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) questo effetto non si verificherà più: le imprese, come già accadeva prima, potranno portare a scadenza i rapporti a termine, ma avranno la possibilità di proseguire il contratto, sia nella forma della proroga (allungando la data di scadenza), sia nella forma del rinnovo (stipulando un nuovo rapporto dopo la fine di quello precedente).
Le aziende avranno anche un ulteriore vantaggio: in caso di rinnovo non si applicherà l’obbligo di attendere 10 giorni (20, se il rapporto precedente ha avuto una durata superiore ai 6 mesi) prima della sottoscrizione del nuovo contratto.
La nuova norma non consente, invece, di attivare ex novo rapporti a termine con soggetti che in precedenza non hanno avuto alcun rapporto contrattuale con il datore di lavoro.
Questa innovazione è molto positiva, ma non risolve un problema comune a tutti i datori, indipendentemente dall’utilizzo degli ammortizzatori sociali: il rinnovo richiede sempre l’indicazione della causale, al pari della proroga che comporta una durata complessiva del rapporto sopra i 12 mesi. Il Governo ha annunciato l’intenzione di rimuovere il requisito con il “decreto Aprile”: sarebbe un intervento molto opportuno.
Da notare che sussiste un piccolo dubbio sull’efficacia nel tempo della nuova regola. La rubrica della disposizione definisce la norma come «interpretativa», circostanza che consentirebbe una lettura in senso retroattivo della sua efficacia. A ben vedere, tuttavia, questa disposizione non ha un reale contenuto interpretativo: il legislatore, infatti, non risolve alcun contrasto interpretativo ma, in maniera aperta e diretta, modifica (rimuovendolo) un divieto normativo.
Mancano, quindi, i requisiti minimi definiti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale per assegnare natura interpretativa (al di là della qualifica formale assegnata dal legislatore) a una norma di legge e quindi difficilmente l’articolo 19 bis potrebbe avere un effetto sanante su fattispecie antecedenti alla sua entrata in vigore.

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