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Il contratto collettivo salva dal licenziamento solo per situazioni uguali a quelle previste

Pubblicato il 15 maggio 2020 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

La Corte di cassazione con la sentenza 8621 del 7 maggio 2020 torna a pronunciarsi e motivare diffusamente sulla nozione legale di giusta causa di licenziamento e sui limiti all'interpretazione estensiva ed analogica delle previsioni della contrattazione collettiva, in un caso che ha visto contrapposti una delle più grandi realtà mondiali nel settore dei beni di largo consumo e un responsabile di magazzino.
Il dipendente in questione era stato licenziato per giusta causa nell'estate del 2016 per avere omesso di informare i propri superiori gerarchici nonché l'Rspp della sistematica manomissione da parte dei carrellisti da lui coordinati dei dispositivi di rallentamento della velocità dei carrelli (sistema "tartaruga") introdotto al fine di evitare incidenti nello stabilimento. Senonché, proprio a seguito di un incidente avvenuto nell'estate del 2016, le indagini aziendali avevano portato a conoscenza della direzione la circostanza ben nota al responsabile del magazzino (eppure da lui sempre taciuta).
Il dipendente, nel processo che ne era seguito, aveva incardinato la propria difesa sull'argomento che la condotta incriminata potesse rientrare, in base a interpretazione analogica, nell'alveo delle condotte punite con sanzioni conservative dall'articolo 69 del Ccnl industria alimentare, riguardante l'omessa comunicazione, per colpa lieve, di guasti e irregolarità a macchinari e attrezzature di cui il dipendente abbia notizia.
La Corte d'appello di Roma, tuttavia, escludeva la riconducibilità della condotta nell'ambito dell’articolo 69 e avverso tale decisione il dipendente proponeva ricorso di legittimità.
Senonché la Cassazione, dopo aver ripercorso gli itinerari della recente giurisprudenza in tema di rapporti fra licenziamento e previsioni disciplinari della contrattazione collettiva (Cassazione 12365 /2019, 14247/2019, 14248/2019, 14500/2019, nel confermare il decisum dei giudici di merito, specifica ancora una volta che la giusta causa di licenziamento è una "nozione legale" sicché le previsioni collettive sul punto «non vincolano il giudice di merito», e, per altro verso, che le stesse costituiscono in ogni caso il parametro secondo cui effettuare la valutazione di sussumibilità o meno delle condotte nell’articolo 2119 del codice civile.
Il vincolo al convincimento del giudice si ha allorquando al comportamento sia ricollegata una mera sanzione conservativa, nel qual caso il giudice non può estendere il catalogo della giusta causa di licenziamento a condotte in relazione alle quali a livello collettivo sia stata già fatta un valutazione di carattere conservativo.
Eppure, nel caso di specie - precisano i giudici di legittimità - l'applicazione alla condotta sanzionata dell'articolo 69 del Ccnl industria alimentare configurerebbe un'estensione della norma oltre i limiti entro i quali è consentita l'interpretazione analogica delle previsioni collettive, consentita «solo ove risulti l'inadeguatezza per difetto dell'espressione letterale adottata dalle parti rispetto alla loro volontà, inadeguatezza tradottasi in un contenuto carente rispetto all'intenzione».
Pertanto, solo quando il fatto contestato e accertato si espressamente previsto dalla previsione di fonte negoziale che ne tipizza la condotta come punibile con sanzione conservativa si potrà predicare l'illegittimità del licenziamento, come - a ben vedere - non è nel caso in esame, ove la condotta sanzionata non può certo ritenersi caratterizzata dalla "colpa lieve" o dalla "occasionalità" intrinsecamente propria dei contenuti della previsione collettiva che si pretendeva di richiamare.

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