Il giudizio con il quale si procede alla corretta determinazione dell'inquadramento del lavoratore subordinato passa per un momento ineludibile: ci si riferisce al cosiddetto percorso trifasico, sul quale la Corte di cassazione (sezione lavoro, 2972/2021 dell’8 febbraio ) ha provato a fare chiarezza.
Si tratta, in sostanza, di un procedimento logico-giuridico composto da tre fasi successive che così si articolano:
- innanzitutto, il giudice deve accertare le attività lavorative che il dipendente ha concretamente svolto;
- successivamente si procede a individuare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria applicabile nel caso concreto;
- infine, occorre confrontare il risultato della prima indagine con il testo della contrattazione individuato nella seconda.
La Corte di cassazione, in ogni caso, ha precisato che, sebbene nella determinazione dell'inquadramento del lavoratore non sia possibile prescindere dall'osservanza del criterio trifasico, è comunque vero anche che il giudice non deve attenersi in maniera pedissequa alla sequenza delle azioni che caratterizzano tale schema procedimentale e sulle quali ci siamo appena soffermati: non si tratta, in fatti, di una sequenza rigida, ma è ben possibile per il giudice discostarsi dalla stessa purché il suo ragionamento decisorio sia comunque influenzato da ciascuno dei tre momenti di accertamento, ricognizione e valutazione, che concorrano, quindi, a determinarne le conclusioni.
A tale proposito, il caso oggetto della pronuncia della Corte è particolarmente esemplificativo: il giudice territoriale ha innanzitutto fatto richiamo al livello di inquadramento della lavoratrice parte del giudizio, specificando a quali figure lo stesso è riservato e ha, successivamente, rimarcato le mansioni che, come emerso dalle acquisizioni probatorie, erano state svolte dalla donna, per poi concludere che l'attribuzione di questa al livello nel quale era stata inquadrata non poteva considerarsi aderente alle previsioni del Ccnl di settore, dato che, di fatto, i compiti svolti dalla lavoratrice realizzavano il requisito coessenziale alla qualifica di un livello superiore.
Così operando, a detta della Corte di cassazione, la sentenza di merito si è sviluppata attraverso una struttura logico-giuridica che risponde pienamente ai canoni che definiscono una «corretta sussunzione della fattispecie nell'archetipo normativo di riferimento». Ciò posto, nessuna rilevanza può essere attribuita alla circostanza che il giudice non abbia fatto riferimento ai profili professionali che corrispondono alla declaratoria contrattuale relativa al livello rivendicato, data anche la loro natura esemplificativa.