Può essere annullato il licenziamento per soppressione della posizione lavorativa, anche in caso di esternalizzazione del servizio, se l’outsourcing si è verificato in un momento ampiamente successivo rispetto al recesso. È il principio stabilito dalla Corte di cassazione nella sentenza 10922 del 26 aprile 2021. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ovvero per ragioni economiche) è infatti soggetto a una serie di vincoli, per evitare di essere dichiarato illegittimo.
Insieme al licenziamento per giusta causa e al licenziamento per giustificato motivo soggettivo, è una delle modalità di recesso tipizzate dal Codice civile e, a differenza dei primi due, non è fondato su ragioni disciplinari.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo attualmente non può essere azionato né in forma individuale né in forma collettiva fino al 30 giugno 2021 e, per alcune categorie di lavoratori, fino al 31 ottobre 2021. Il blocco prevede un certo numero di esclusioni e una proroga per aziende di manifattura e costruzioni che useranno la cassa integrazione ordinaria senza contributo addizionale, dal 1° luglio. I licenziamenti disciplinari invece non sono soggetti al blocco.
Il presupposto fondante per la legittimità del recesso per giustificato motivo oggettivo è il verificarsi in azienda di un effettivo e genuino riassetto organizzativo, attuato secondo criteri di buona fede e correttezza, da valutare in base agli elementi di fatto esistenti al momento della comunicazione del recesso, la cui motivazione deve trovare fondamento in circostanze realmente esistenti e non future ed eventuali.
Deve inoltre esistere un chiaro nesso causale tra il riassetto e la soppressione di una determinata posizione lavorativa.
In aggiunta a questo, è necessario che il lavoratore licenziato non possa essere utilmente adibito ad altre mansioni. È il cosiddetto obbligo di repêchage che il datore di lavoro deve assolvere, prima di poter attuare il licenziamento. È un onere complesso che deve essere assolto non solo nell’ambito della intera società, ma secondo una parte minoritaria della giurisprudenza, anche a livello di gruppo, specie se le relazioni all’interno del gruppo sono di natura tale da dare vita ad un unico centro di imputazione di rapporti giuridici. In caso di controversia, l’onere della prova della legittimità del recesso grava sul datore di lavoro.
Non valgono a fondare un valido licenziamento riassestamenti pretestuosi e non genuini. Il giudice non entra nel merito della validità della scelta sotto un profilo imprenditoriale, ma ha certamente il potere di verificarne l’effettività nei fatti. Anche la scelta del lavoratore deve avvenire secondo le regole di correttezza e buona fede poste dagli articoli 1175 e 1375 del Codice civile, evitando atti discriminatori e, se occorre licenziare più dipendenti, applicando i criteri dei licenziamenti collettivi cioè carichi di famiglia, anzianità di servizio e esigenze tecniche, organizzative e produttive.
Sull’onere di repêchage, la giurisprudenza, dopo alcune oscillazioni pare essersi orientata sulla conclusione che il lavoratore non sia tenuto a indicare quali siano i posti disponibili in azienda per la propria ricollocazione, perché la prova della impossibilità di ricollocamento grava sul datore di lavoro. Inoltre, non rilevano tutte le mansioni, anche inferiori, dell’organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con le competenze professionali del lavoratore, o quelle che siano state già svolte, senza un obbligo del datore di fornire un’ulteriore o diversa formazione del prestatore, per salvaguardare il posto di lavoro.