Il grande rilancio delle ristrutturazioni edilizie determinato dai vari bonus (dal 50% al 110%), se finalizzato alla realizzazione di immobili da vendere o da locare, può comportare in alcuni casi il rischio dell’insorgenza dell’esercizio d’impresa in capo ai soggetti che realizzano gli interventi agevolati. Nel campo immobiliare, la costante giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato che anche la realizzazione di un solo immobile destinato alla vendita si considera eseguita nell’esercizio di impresa (tra le tante, si vedano da ultimo la Cassazione n. 15021/2020 e 15931/2021). Nella pronuncia citata del 2021, peraltro, la Corte afferma l’irrilevanza, ai fini in esame, della circostanza che l’immobile oggetto di intervento fosse adibito ad abitazione principale dei proprietari prima dell’operazione. Nell’ipotesi di locazione, invece, trattandosi di attività non ricompresa nell’elenco di cui all’articolo 2195, cod. civ., bisognerà dimostrare la sussistenza dell’elemento organizzativo. Comunque, i requisiti rilevanti non sono di complesso riscontro in concreto: soccorre al riguardo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, in materia di Iva, che ha statuito che la locazione di un bene materiale costituisce una forma di sfruttamento del bene stesso, con la conseguenza che tale attività deve essere qualificata come “economica” nell’ipotesi in cui sia esercitata per generare introiti aventi un «certo carattere di stabilità». I giudici comunitari hanno inoltre rilevato che, per constatare se la locazione di beni materiali possa costituire attività economica, risultano parametri da prendere in considerazione, tra gli altri: la durata effettiva della locazione, l’entità della clientela e l’importo degli introiti (causa C-655/19 del 20 gennaio 2021).