Giornalisti pensionati liberi di lavorare senza la spada di Damocle del limite di cumulo tra pensione di anzianità e reddito. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza 22170 del 2021. Non è la prima pronuncia della Suprema Corte che sancisce la non applicazione dell’articolo 15 del regolamento dell’Inpgi, l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti, che pone a 22.524 euro (nel 2020) il reddito massimo cumulabile alla pensione.
Con questa ulteriore pronuncia da parte della Cassazione contro il divieto di cumulo, che per gli iscritti all’Inps è stato abrogato da anni, forse qualcosa cambierà per i pensionati giornalisti.
La non applicabilità del divieto di cumulo era, infatti, già stata espressa dalla Cassazione nell’ordinanza 21470 del 6 ottobre 2020 e nella sentenza 19573 del 19 luglio 2019. In quell’occasione, però, l’Inpgi, dal sito www.inpginotizie.it aveva sostenuto che l’ordinanza 21470 spiegava i suoi effetti limitatamente al caso concreto «e quindi dalla stessa non deriva e non può derivarne alcun generalizzato effetto abrogativo o disapplicativo della relativa norma Regolamentare interna (articolo 15), che continua quindi a trovare piena applicazione». E in merito alla sentenza del 2019 per l’Inpgi si trattava di un «unico precedente orientato in tal senso» in uno scenario complessivo nel quale la sezione lavoro della Cassazione (sentenze 8067/16 e 12671/16) aveva assunto un orientamento favorevole all’istituto. Un orientamento contrario, per la verità, era stato espresso dalla Cassazione anche nel 2012 (sentenza 1098 del 26 gennaio), ma anche allora con effetti circoscritti.
L’ordinanza 22170 della Cassazione, depositata i l 3 agosto, ribadisce di nuovo che la legge 388/2000, articolo 72, che ha abrogato il limite di cumulo tra pensione e reddito da lavoro, si applica sia alla previdenza sociale obbligatoria sia alle forme sostitutive anche gestite da enti privatizzati, come è appunto il caso dell’Inpgi. L’avvocato Sabina Mantovani, che insieme al collega Ugo Minneci ha portato avanti la causa vincendo in primo grado presso il tribunale di Bergamo nel 2015 e ora vincendo anche in Cassazione ricorda che « la piena libertà di cumulo venne introdotta per far emergere il lavoro nero», e aggiunge «non è chiaro perché l’Inpgi abbia voluto mantenere questo divieto, un trattamento punitivo per i giornalisti, che porta nelle casse dell’ente cifre irrisorie». L’attuale divieto vale circa un milione e il Cda vorrebbe abbassare il reddito cumulabile a 5mila euro, con un risparmio di circa 1,5 milioni di euro l’anno. Una decisione presa per fronteggiare la crisi dell’Inpgi, che ha chiuso l’ultimo bilancio con un buco di circa 242 milioni; la crisi dell’istituto sarà al centro di un tavolo tecnico con il dipartimento dell’Editoria che partirà domani. Ora bisognerà vedere se l’Inpgi deciderà di recepire le indicazioni della Cassazione o se continuerà ad applicare il divieto di cumulo come ha fatto fino ad oggi.