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Patto di non concorrenza: compenso dovuto sempre

Pubblicato il 08 settembre 2021 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

La clausola del patto di non concorrenza in cui è previsto che il datore di lavoro si riservi di decidere al momento della risoluzione del rapporto se avvalersi delle limitazioni che derivano dal medesimo patto è sempre nulla e comporta, in ogni caso, il diritto al relativo compenso a favore del lavoratore.
Non è dirimente, in senso contrario, che il datore di lavoro, a fronte di un rapporto durato circa 11 anni, abbia comunicato alla lavoratrice la propria decisione di non avvalersi del patto di non concorrenza ben 6 anni prima della sua effettiva cessazione. Anche in tal caso, la lavoratrice ha diritto a ricevere il pagamento del corrispettivo previsto per il patto di non concorrenza, perché le reciproche obbligazioni sono state cristallizzate al momento di stipulare il patto e la clausola nulla non può avere alcun effetto rispetto ad esse.
La Corte di cassazione ha raggiunto queste conclusioni (ordinanza n. 23723/2021, pubblicata il 1° settembre scorso) osservando che il patto di non concorrenza opera con riferimento a un periodo di tempo successivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, ma il lavoratore è vincolato d esso fin dal momento in cui ha sottoscritto l’accordo.
Date queste premesse, ad avviso della Suprema corte, la clausola che consente al datore di lavoro di sciogliersi dal vincolo del patto di non concorrenza è (sempre) nulla, in quanto non possono farsi cessare ex post gli effetti «invero già operativi» della pattuizione contrattuale in virtù di una condizione risolutiva affidata al mero arbitrio di un solo contraente.
Questa conclusione, che costituisce retaggio di un indirizzo della giurisprudenza, si applica per la Corte di legittimità anche quando il datore di lavoro comunica la decisione di non avvalersi del patto di non concorrenza diversi anni prima che il rapporto sia venuto a cessare. Neppure in tal caso è corretto sostenere che l’esercizio della clausola di recesso non abbia determinato una effettiva compressione della libertà del lavoratore di progettare il proprio futuro. Dunque, anche in tal caso permane il diritto del lavoratore al compenso pattuito per le limitazioni assunte con la sottoscrizione del patto di non concorrenza.
In primo e secondo grado la domanda della lavoratrice di vedersi riconosciuto il compenso del patto di non concorrenza (per l’intera durata dei 2 anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro) era stata respinta, ritenendosi dirimente che il datore avesse esercitato la clausola 6 anni prima dell’effettiva interruzione del vincolo professionale. Il lasso di tempo confermava che lavoratrice aveva potuto riorganizzare il proprio futuro senza subire sacrifici.
Non è di questo avviso la Cassazione, per la quale è del tutto irrilevante che la determinazione datoriale di non avvalersi del patto sia stata espressa anni prima della cessazione del rapporto di lavoro. La clausola che riserva al datore di lavoro l’opzione di non avvalersi del patto di non concorrenza è sempre nulla ed essa non è mai idonea a esprimere effetti sulla validità del patto medesimo, incluso il diritto del lavoratore al relativo compenso.

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