L’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello n. 386/E/2022, a distanza di un anno dalla riforma dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972, ha analizzato alcuni casi particolari: a) risoluzione unilaterale del con-tratto con prestazioni continuative e periodiche; b) tentativi di recupero giudiziale delle somme nei con-fronti di una società di persone; c) tentativo di recupero giudiziale delle somme nei confronti di una società di capitali; d) fallimento della società di capitali e pagamento parziale del garante; e) risoluzione e riconoscimento dell’inadempimento a seguito di accordo transattivo. Nel caso a), il mancato pagamento determina l’avverarsi della condizione prevista dalla clausola risolutiva espressa apposta al contratto e, pertanto, determina la risoluzione del contratto con effetti ex tunc, ovvero a decorrere dalla prima fattura rimasta insoluta. Trattandosi di un contratto a esecuzione continuata, l’istante può procedere alla variazione dell’Iva solo per le prestazioni già eseguite ma non remunerate dalla controparte. Nei casi b), c) e d), la risoluzione del contratto per inadempimento come causa per effettuare la variazione in diminuzione è una facoltà rinunciabile per il creditore che può, piuttosto, scegliere di dare avvio a una procedura concorsuale o esecutiva individuale e, quindi, procedere al recupero dell’Iva secondo le regole dell’articolo 26, commi 3-bis, 5-bis, 12, D.P.R. 633/1972. Se poi, successivamente alla variazione in diminuzione, a fronte dell’avvio di azioni esecutive a carico dei soci illimitatamente responsabili della società di persone ovvero del garante del debito di società di capitali, il creditore riesce a incassare le somme spettanti, questi dovrà emettere fattura nei confronti del debitore originario, indicando imponibile e imposta. Infine, riguardo il caso e), essendo la risoluzione il frutto del sopravvenuto accordo tra le parti, il recupero dell’Iva è consentito entro l’anno dall’effettuazione dell’operazione originaria.