Per i giudici tributari devono essere annullati gli accertamenti dell’agenzia delle Entrate emessi sulla base di semplici presunzioni. La recente evoluzione giurisprudenziale in materia è univoca e consolidata nel bocciare gli accertamenti dell’ufficio emessi in mancanza di qualsiasi prova della presunta evasione accertata. In questo modo, rischiano di andare in “fumo” molti degli accertamenti emessi negli ultimi anni dagli uffici dell’Agenzia, basati su presunzioni e senza prove sufficienti a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
Per evitare inutili contenziosi, gli uffici devono tenere conto delle novità introdotte, in materia di onere della prova, dall’articolo 6 della legge di riforma della giustizia tributaria del 31 agosto 2022, n. 130, che ha inserito il comma 5-bis all’interno dell’articolo 7 del Dlgs 546/1992.
La norma, cui va riconosciuto il carattere di ius superveniens, cioè di diritto sopravvenuto, in vigore dal 16 settembre 2022 e applicabile anche per i procedimenti in corso, pone ex lege l’onere della prova a carico del Fisco, che non ne può invece addossare l’incombenza sul soggetto accertato.
È evidente che spetta all’ufficio “provare” i fatti costitutivi della pretesa fiscale. Il principio che l’articolo 2697 («Onere della prova») del Codice civile pone in ordine al regime probatorio è chiaro: «chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento».
Sul nuovo corso di ripartizione dell’onere della prova è illuminante la sentenza 3856 del 23 novembre 2022, della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Siracusa, sezione 5, la quale, inserendosi nell’alveo della riforma, ha sovvertito la concezione secondo cui spetterebbe al contribuente l’onere della prova ovvero della probatio “diabolica” circa la mancata percezione del maggior reddito.
Secondo il collegio siracusano, infatti, la nuova norma introduce una regola speciale del diritto tributario per dirimere le questioni sul riparto dell’onere probatorio e, pertanto, è inequivocabile che l’ufficio debba provare le contestazioni afferenti a tutte le tipologie di violazione.
Sullo stesso filone, in tema di applicazione dell’onere probatorio, si veda la sentenza 293/01/2022 della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Reggio Emilia, secondo la quale l’amministrazione finanziaria deve dimostrare in maniera circostanziata e puntuale la propria pretesa, indicando le ragioni oggettive (e non le presunzioni) su cui si fonda la maggiore base imponibile.
In assenza di tale specifica dimostrazione, l’atto impositivo deve essere annullato per violazione della norma sopra citata.
Nello stesso senso, con la nuova norma che pone ex lege l’onere della prova a carico del Fisco, si veda la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Messina, n. 9214/2023, depositata il 15 novembre 2023. Con questa sentenza, i giudici di secondo grado annullano l’atto impositivo e rigettano l’appello dell’ufficio «in mancanza di elementi probatori forniti a riprova dei fatti affermati»; per i giudici di secondo grado la «prova oggi pretesa dal riformato processo tributario che, con l’articolo 6 della legge 130/2022, che ha introdotto il comma 5–bis nell’articolo 7 del decreto legislativo 546/1992, esige che il Giudice valuti le prove agli atti, comprese quelle che possono essere offerte dagli uffici, in corso di giudizio, purché riguardino i fatti dedotti, ed annulli l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o è insufficiente a dimostrare le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa e l’irrogazione delle sanzioni».