A quasi un anno dall'entrata in vigore della L. 49/2023, che ha introdotto l'equo compenso per i professionisti, sono sorti dubbi circa la sua compatibilità con i principi cardine del diritto dell'Unione europea costituiti dal diritto alla libertà di stabilimento e da quello di libera concorrenza. Sul tema sono recentemente intervenute due pronunce della giurisprudenza amministrativa di merito, che hanno sostenuto la piena compatibilità della disciplina dell'equo compenso rispetto al diritto dell'Unione europea.
In particolare, si è osservato che:
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da un lato, le disposizioni in materia di equo compenso non pregiudicano l'accesso al mercato italiano da parte di operatori economici di altri Stati dell'Unione (cfr. TAR Veneto n. 632/2024);
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dall'altro lato, nella determinazione di compensi "equi" vengono in rilievo norme di carattere generale - quali la stessa L. 49/2023 e i relativi Decreti ministeriali - adottate da pubbliche autorità e, quindi, non rientranti nell'ambito di applicazione (soggettivo ed oggettivo) dell'art. 101 del TFUE, che vieta gli accordi tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno (cfr. TAR Lazio n. 8580/2024).